La terza sezione della Cassazione, con sentenza del 23 gennaio, ha statuito, per la prima volta in sede di legittimità, il principio per cui: «la perdita del bene della vita, oggetto di un diritto assoluto ed inviolabile, è ex se risarcibile, nella sua oggettività, a prescindere pertanto della consapevolezza che il danneggiato/vittima ne abbia» (Cassazione 23 gennaio 2014 n. 1361, relatore Scarano).
Secondo il Supremo collegio, infatti, costituisce danno non patrimoniale risarcibile, sempre è comunque, anche: «il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell'individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell'Ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica».
Tale danno, che è altro e diverso dal danno alla salute (danno biologico), in ragione del diverso bene tutelato, deve ritenersi di per sé ristorabile in favore della vittima che subisce la perdita della propria vita, e in relazione ad esso sono del tutto irrilevanti, sia il presupposto della permanenza in vita per un apprezzabile lasso di tempo successivo all'evento morte, sia il criterio della intensità della sofferenza della vittima per avere ella la percezione dell'imminente sopraggiungere della propria fine.
Su questo dunque la Cassazione muta radicalmente il proprio precedente orientamento. Infatti, per la Suprema Corte, ora la vittima acquisisce il diritto al risarcimento per la perdita della vita subìto, nel momento stesso in cui si verifica la lesione mortale e quindi anche in caso di morte immediata o istantanea, in deroga al principio dell'irrisarcibilità del danno evento: tale diritto, avendo poi natura compensativa, è trasmissibile ai propri eredi.
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